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La testimonianza di un familiare ha piena valenza probatoria anche se non è stata indicata subito. A stabilirlo è la terza sezione della Cassazione (sentenza numero 14706/2016) accogliendo il ricorso di un uomo contro il pronunciamento della Corte d’Appello che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni nei confronti del Comune. Quest’ultimo è stato costretto a dare l’indennizzo all’infortunato, inciampato in un tombino della fognatura urbana.

La corte territoriale, a fronte di un gravame in cui l’appellante aveva sostenuto l’assenza di un’adeguata prova sull’effettivo verificarsi dei fatti addotti da controparte, con particolare riguardo alla inattendibilità dell’unico teste su cui si sarebbe fondata la sentenza di primo grado, riesamina gli esiti di quel che ritiene il quadro probatorio. Anzitutto, analizza le dichiarazioni del teste, che si era dichiarato testimone oculare della caduta, ritenendola realmente affetta da varie incongruenze, come prospettato dall’appellante ma, comunque, non reputando tour court inattendibile il teste ma desumendo una situazione di grave incertezza. Per i giudici “non dà alcuna contezza” della presenza e dell’intervento nell’immediatezza del fratello dell’attore. Infine, nota la corte che “l’azione giudiziaria è stata proposta ben quasi dieci mesi dopo la caduta…senza che prima fosse emerso alcunché in ordine alla prospettata responsabilità del Comune”. Tutto questo, costituirebbe il “quadro probatorio”, il quale fornirebbe un esito “necessariamente carente in ordine alla ricostruzione dei fatti così come narrati dall’attore”: ne discende l’accoglimento dell’appello.

Per la Cassazione il danneggiato ha ragione; la Corte d’Appello sbaglia a ritenere che non indicando il nome del testimone nell’atto di citazione, l’attore abbia posto in essere un comportamento processuale valutabile a suo sfavore. “È ictu oculi insostenibile una siffatta posizione – hanno affermato infatti i giudici della S.C. – in uno schema processuale in cui, secondo il testo ratione temporis applicabile dell’articolo 184 c.p.c. (ovvero quello introdotto dall’articolo 18 I. 26 novembre 1990 n. 253, antecedente al testo attualmente vigente derivante dall’articolo 2 d.l. 14 marzo 2005 n. 35) proprio i termini di cui alla suddetta norma sono destinati al dispiegamento completo delle istanze istruttorie. Non risulta pertanto utilizzabile a fine probatorio neanche nella più infima misura il fatto che l’attore si sia avvalso dell’articolo 184 c.p.c. anziché presentare ogni sua istanza istruttoria in modo completo – inclusivo, quindi, dei nomi dei testi – già nell’atto di citazione”.

Si legge nella sentenza “anche nel caso in cui si tratti di un unico teste, mai necessita, per espletare la sua valenza, riscontri esterni a suo supporto, tranne nell’ipotesi in cui si tratti – e non è indubbiamente il caso in esame – di testimonianza de relato”. Da qui l’accoglimento del ricorso e la parola passa al giudice del rinvio che dovrà attenersi al seguente principio di diritto: “Qualora in atto introduttivo sia stata proposta istanza istruttoria di prova testimoniale senza indicare il nome del teste, e quest’ultimo tuttavia sia successivamente indicato entro i termini che il rito consente per il completo dispiegamento delle istanze istruttorie, tale legittima scelta dell’istante non può assumere alcun significato a lui sfavorevole ex art. 116 c.p.c.”.

Scritto da:

Dott. Nicola De Rossi

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